L’incendio del 1845 a Piedicavallo
Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1845 un tragico incendio colpì Piedicavallo.
Le fiamme, di origine accidentale, si propagarono rapidamente tra le case, alimentate dal forte vento proveniente dal vallone Mologna. In poche ore, il fuoco distrusse interi abitati, riducendo in cenere le case di ben trenta famiglie, 177 persone che si trovarono improvvisamente nella più completa miseria: i danni dell’incendio vennero calcolati in 100.000 franchi. Ma la generosità della comunità non si fece attendere: al suono della campana a stormo, gli abitanti della Valle Cervo accorsero in aiuto, per tentare di fermare l’avanzata del fuoco e di soccorrere le vittime. Sebbene diverse persone riportassero ferite e ustioni causate dal rogo, nessuno perse la vita.
Secondo le fonti dell’epoca, in questa occasione alcune figure si distinsero in particolar modo.
Il prevosto Don Agostino Catella di Veglio, parroco di Piedicavallo dal 1829 al 1875, si distinse per il suo coraggio, sollevando gli animi con la sua voce e i suoi aiuti concreti.
Anche il cavaliere Giriodi, intendente della provincia, accorso tempestivamente, distribuì i soccorsi che erano stati raccolti in tutta la zona, comprese le donazioni pervenute dal sovrano, Carlo Alberto di Savoia-Carignano, Re di Sardegna. Per porre rimedio al danno economico causato dall’incendio, che fu stimato in cento mila franchi, il re creò una commissione di beneficenza presieduta dal marchese Carlo Ferrero Della Marmora, la quale promosse raccolte pubbliche per alleviare le sofferenze delle vittime.
Il settimanale Letture di famiglia pubblicò quell’anno, nella sezione Esempi di virtù popolare, le gesta eroiche dello scalpellino Giovanni Giavina Viola che si lanciò tra le fiamme per salvare una bambina, la figlia di Giulio Ion, riportandola sana e salva tra le rovine.
«La notte delli 5 dello scorso gennaio un’orribile disgrazia toccò al povero villaggio di Piedicavallo. Destatosi un incendio, in meno d’un quarto d’ora più di trenta case si videro in preda al fuoco, e cento e settantasette persone si trovarono senza tetto. lo non istarò a dire la desolazione di quelle misere creature; gli è più facile immaginarsela. Quasi tutti artigiani, che escono nell’estate dalla loro terra per procurare un vitto alla famiglia, videro consumarsi dalle fiamme quelle poche sostanze che la loro previdente operosità avea saputo raggruzzolare con tanto sudore; videro i loro fanciulli, le loro donne, i vecchi padri piangenti di disperazione ed abbandonati all’intemperie; videro quelle case, che costi vuolvi tanta pena a fabbricare, ed ove aveano gustate tante dolcezze, sfasciarsi e diroccare senza aver tempo a corrervi al riparo. Fortunatamente nessuna persona fu vittima del continuo crollar di mura e di tetti.
S’intese fra il rumore un grido che partiva di mezzo a quelle rovine, ma un generoso slanciavasi fra le fiamme, e poco stante tornava con una giovinetta fra le braccia. Egli era uno scarpellino pur di Piedicavallo, un certo Gio. Giavina Viola, che con evidente pericolo della sua salvava la vita alla figlia di Giulio Ion.
Lettori miei, una mano al cuore. Di caso si miserando non potete che sentire profonda compassione. Bene dunque; la compassione non si risolva in uno sterile sentimento; sia volontà di rimediare alla miseria di quelle cento e settantasette desolate creature; sia operosa carità. I ricchi si comprano un’assicurazione contro gli incendi, i poveri non possono avere che l’assicurazione della carità.
Nel rivolgersi che fa il buon parroco di Piedicavallo con una commovente lettera ai colleghi suoi, li prega di suscitare nei loro parocchiani sensi di pietà per i poveri suoi figli e di promettere loro le benedizioni di Dio ed un’eterna riconoscenza. La preghiera dell’infelice beneficato pel suo benefattore è cosi bella, così cara è la riconoscenza del povero, che non dubito punto che molti de’miei lettori vorranno meritarsela anche in questa circostanza».
Anche l’edizione di giovedì 20 marzo 1845 del Diario di Roma – Notizie del giorno riportava la notizia dell’incendio.
«Terribil fatto, infortunio gravissimo avvolgea testè nel lutto e nella miseria pressochè intiera la popolazione del villaggio di Piedicavallo nella Valle d’Andorno, provincia di Biella. Al sol ricordarlo spontanea una lagrima di commiserazione scorre sul ciglio, e sola la voce del dolore può ridire, può con vivaci tinte in tutta sua forza esprimere il tristissimo caso; come fatal scintilla per isgraziato accidente appiccatasi ad una casa, e dal rovajo che spiravа fortissimo in quella notte funesta dalle gole del Mologna nello stretto della Valle, agitata e sparsa con incredibile rapidità all’intorno, abbia in brev’ora tutto quasi consunto quell’alpestre paesetto e ridottolo in un mucchio di cenere e di rovine. […] Oh Dio! Qual dolente scena! Vecchi dal fianco infermi, bamboli lattanti, uomini, donne nel cuor di rigido verno, privi d’ogni ricovero, d’ogni sostanza, ridotti dal terribile incendio a mendicare un asilo, alla pubblica carità un tozzo di pane! Jeri fra que buoni alpigiaui tranquillo vivere e domestica pace oggi angoscia e desolazione la piu cruda».
Accogliendo la supplica di don Cutella, la Regia Segreteria dell’Interno creò «apposita Commissione di beneficenza, alla quale si affidava l’incarico d’invitare ed eccitare in ogni miglior maniera ne’ Regi Stati questa pubblica carita in ajuto quelle vittime infelici».
Per altro, la Gazzetta del Popolo riporta di un altro incendio, avvenuto agli inizi di dicembre 1854, che colpì Montesinaro distruggendo 11 case e sfollando 14 famiglie: «Oltre ai soccorsi che si procurano, il maggiore della milizia nazionale 1º battaglione d’Andorno aperse una soscrizione in tutte le 7 compagnie del battaglione, che già cominciò a fruttare qualche cosa, e si spera che il risultato sarà maggiore di quanto s’aspetta. Questa milizia della vallata d’Andorno 1º battaglione fu sempre di buona volontà, in tutte le circostanze, e sempre si distinse».